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Come testare le creatività nelle campagne Meta

(Sorbisciti tutto il pippone teorico, arriva ai consigli degli smanettoni e ritarda il giorno in cui le macchine prenderanno il tuo posto oppure fuggi subito e goditi gli ultimi giorni di professione)

La prendo larga:

I primi 30 minuti successivi alla messa live di un contenuto determinano “il successo” o l’insuccesso dello stesso.
In pratica: “O la va o la spacca”.

Questa cosa non è scritta in nessun manuale ma son sicuro l’avrai notato, non è vero?

Pubblicando da qualsiasi profilo, ti sarai accorto che più o meno su qualunque social se quello che hai postato inizia subito ad avere apprezzamenti/interazioni avrà sempre più visibilità e di conseguenza più esposizione, diversamente il contenuto finirà -quasi certamente- nel dimenticatoio.

Questo è uno dei motivi per cui molti utenti cancellano contenuti se non raggiungono un certo numero di like in uno determinato span di tempo – e di conseguenza il motivo per cui instagram aveva temporaneamente nascosto il numero di like nei post- ma questo potrebbe essere un altro articolo, se vuoi sapere se lo scriverò lascia la tua mail qui, non spammo, prometto.

Se abbiamo chiaro l’obiettivo delle piattaforme social la motivazione a questo fenomeno è molto semplice da comprendere.

Al contrario di quanto dichiara ad esempio Mark Zuckemberg:

“Bringing the world closer together” 

L’obiettivo di Meta e di tutti i social che guadagnano attraverso la pubblicità è semplice:

Trattenere l’utente all’interno della piattaforma il più a lungo possibile in modo da mostrare contenuti per cui qualche inserzionista sta pagando.

Per farlo, la piattaforma deve trovare un bilanciamento fra quello che l’utente vorrebbe vedere e quello che la piattaforma deve mostrare per monetizzare.

Per questo motivo se la piattaforma reputa intrattenente il tuo contenuto sarà ben felice di mostrarlo ad un numero più alto di persone perchè in qualche modo starai facendo il suo gioco, ovvero offrirai ai suoi utenti un motivo per rimanere sulla piattaforma.

Lo stesso principio vale per le creatività delle tue campagne.

Se le AD che stai facendo girare risultano “interessanti” per il target che hai selezionato: Costeranno meno.
(Sì, se spendi più di mille euro al mese in adv, ho generalizzato.)

Siamo d’accordo quindi che ho tutti gli interessi nel trovare le creatività che performano meglio, come fare?
Veniamo al nocciolo di questo articolo e rispondiamo alla domanda:

Come fa la piattaforma a definire se un contenuto è interessante o meno?

Effettua dei test.

La rappresentazione che mi sono fatto è più o meno questa.

Prendiamo l’insieme dei componenti del target, quindi il pubblico potenziale; 

(mi concentrerò sulla parte pubblicitaria, ma se non fai campagne puoi immaginare, nel caso di un profilo privato, “gli amici” o i follower, il concetto è lo stesso.)

L’algoritmo distribuirà ad una piccola porzione di questo target il contenuto giudicandolo sulla base del comportamento che questi selezionatissimi utenti avranno nei confronti del contenuto.

Come vengono selezionati questi profili?

Per non rendere la cosa troppo complicata, diciamo: In maniera casuale.

(Se ti interessa la versione approfondita fammelo sapere così nel caso la scrivo)

La performance della tua creatività è quindi affidata al caso.

Da un test iniziale potrebbe risultarti più performante un angolo comunicativo o una creatività solo perchè è stata mostrata ad un primo insieme di utenti ben predisposti nei confronti del contenuto. 

O viceversa ovviamente.

(Questo è uno dei motivi per cui se sei un advertiser vecchia scuola, duplicando la campagna ritornavi ad avere risultati.)

Questo preambolo serviva a convincerti del fatto che la struttura ed i ragionamenti che dovremo fare per testare le creatività delle campagne avranno come obiettivo quello di abbattere il più possibile l’incidenza della casualità sul risultato dei test che effettueremo.

Andiamo al sodo, e a come testare le creatività nelle campagne Meta.

Questi sono i consigli “teorici”.

  • Crea una nuova campagna.
    Io lo so che nel day-by-day hai un sacco di robe da fare e pubblichi le creatività nuove in una campagna già esistente ma che ti piaccia o meno i dati raccolti dal gruppo di inserzioni influenzeranno i risultati delle AD.
    Stacce.
    Inoltre, sia mai che la campagna che sta girando sia stabile e abbia creatività che performano, immettere altre creatività anzitempo potrebbe destabilizzare le performance.
    Inserisci le creatività quando serve, ovvero quando hai cali di performance. Già lo vedi Toretto che ti dice “troppo presto” eh?…
  • Utilizza lo stesso obiettivo algoritmico delle campagna in cui dovrai utilizzare le AD.
    Abbiamo capito che non mi fai una campagna nuova e butti le nuove creatività nella campagna che sta “girando”, ma se lo facessi, utilizza lo stesso obiettivo algoritmico (CHE DEVE ESSERE CONVERSIONE) della campagna in cui andrai ad inserire le creatività.
    Troppo spesso mi confronto con persone che non hanno chiaro che in base all’obiettivo di campagna selezionato l’algoritmo andrà a ricercare all’interno del target che definiremo gli utenti più inclini a realizzare quest’ultimo.
    Ad esempio, persone che acquistano possono interagire pochissimo con il contenuto.
    Se testiamo le stesse creatività su obiettivo interazione, quindi su persone inclini ad interagire otterremo un risultato completamente forviante se siamo interessati a creatività che dovremo utilizzare per obiettivi di conversione.
  • Sii “equo” nei formati.
    Meta predilige i contenuti complessi, i video tendenzialmente performeranno sempre meglio di creatività statiche.
    Per questo motivo, se per caso stai testando angoli comunicativi o pattern interrupt fallo a parità di formato.
    Come per qualsiasi test: Metti in A/B test una variabile alla volta.
    esempio:

    Video Angle 1 vs Video Angle 2

    NON

    Video Angle 1 vs Foto Angle 2
  • Scegli un target ampio.
    L’algoritmo ha bisogno di andarsi a prendere chi pensa sia giusto, molti preferiscono un pubblico broad, io se posso escludo porzioni di target.
    (ad esempio, se vendo giacche in pelle e lavoro con obiettivo conversione [vendita] escludo i vegani.)
    Non provare a farmi cambiare idea che discutiamo.
  • Impostato tutto questo non ti rimane che creare delle regole automatizzate per cui la delivery delle AD in test sia il più simile possibile in modo da evitare che l’AD che inizia a spendere meglio si aggiudichi tutto il budget dall’algoritmo.

  • Se stai pensando “sì ok, ma quanto budget devo mettere su ogni test” provo a risponderti.
    Concettualmente l’obiettivo nel testare le creatività delle campagne è evitare che l’algoritmo trovi una AD più performante delle altre e spenda tutto il budget lì sopra “snobbando” le altre.
    Dovrai quindi impostare le regole in modo da avere una delivery il più uniforme possibile in modo da dare le stesse chance a tutte le creatività.
    Provo a spiegarmi con un esempio:
    Supponiamo che io abbia 3 creatività e un budget per 9000 impressions, senza regole è verosimile che la prima creatività riceva 500 impressions, la seconda mille e la terza -quella che è piaciuta di più all’algoritmo- 7500.
    Ragionando in questo scenario, dovrò impostare delle regole automatizzate affinchè la delivery di questo test avvenga in maniera identica su ogni creatività, quindi 3000 impressions su ogni AD.
    Il risultato del test ci fornirà con certezza le AD migliori?
    Assolutamente no, per quanto possa andare a calmierare la varianza posso “avere fortuna” con le prime 3000 impressions…
    Rifacendo il test duplicando lo stesso AD SET potresti ottenere risultati diversi, il goal nella scelta della regola quindi è quello di testare la creatività su una porzione di target con validità statistica.

Non escludere tuttavia la possibilità di rifare il test, questa opzione conceditela soprattutto quando hai uno storico e ha senso fidarti del tuo istinto prima di bidonare AD che pensi potrebbero funzionare.

Tornando alle regole da impostare, sono le impressions l’indicatore migliore su cui impostare regole: Non per forza.
Se posso scegliere imposterei regole sulla CPA, tuttavia dipende dal budget.

Fine della parte teorica e dell’articolo.

Ho fatto delle interviste, per capire nella pratica come si traduce tutto questo.

Ho chiesto a chi di lavoro spende soldi in adv, nella pratica, come si comporta per testare creatività.

La teoria è importante, per carità, lo è molto di più scaricarla a terra e nel farlo dobbiamo tenere conto che verranno prese scorciatoie o bisognerà scendere a compromessi con la scelta migliore.

Questo ceffo è Alberto Ghirardelli, è entrato in GH perchè mi ha fatto questa domanda fatale nell’estate del 2018:
“Che specialistica mi consigli per arrivare a fare il tuo lavoro?”

Da allora non ha più fatto specialistiche e oggi spende qualche milione di euro in budget in adv.

Salve, per valutare le creatività in GH utilizzo diversi metodi, in base al business, in base agli strumenti del cliente e in base al budget del progetto.

Solitamente la fase di testing, viene influenzata non solo dalla creatività, ma anche, dalla combinazione di copy e creatività, dal tipo di impostazione di pubblico o targetizzazione dettagliata scelta, ecc.

Per quanto riguarda la sola fase di test di creatività in un business con un budget investito decente (rapportato al costo del prodotto o di ciò che vogliamo ottenere), andiamo a testare non più di 5-6 creatività per adset, dopodiché nei progetti dove non utilizziamo software esterni per il monitoraggio delle prestazioni, andiamo a impostare delle regole di spegnimento e accensione delle ads in base allo speso, in base alla CPA e in base ad altri criteri come il CTR o il CPM.

Successivamente una volta individuate le creatività vincenti e aver dato possibilità a tutte le creatività di spendere almeno fino alla CPA consentita, andiamo a scalare il budget in quella campagna finché quelle ad non si esauriscono a livello di performance.

In seguito abbiamo 2 possibilità, quella di andare a ritestare le creatività vincenti in un’altra campagna per scalare più velocemente, oppure andare a dare una seconda possibilità in una campagna LOSERS le creatività perdenti.

In questo modo avremo la possibilità di scalare più velocemente, ma anche quella di dare una seconda chance alle creatività perdenti.

Eventualmente è possibile andare a testare tutte le creatività con nuovi target, oppure un’altra possibilità è quella di cambiare la CONVERSIONE di ottimizzazione e avviare un nuovo test con tutte le creatività.
In campagne dove abbiamo molte creatività e dove decido di mantenere tutto all’interno di una stessa campagna, utilizzo anche regole di turning, quindi oltre a impostare lo spegnimento delle ad una volta sorpassata la CPA, imposto anche regole di accensione dopo tot giorni e dopo non aver speso un determinato budget per determinati giorni.

Costui invece non necessità di presentazioni.
Il mio socio Michelangelo, che probabilmente dovrò far riassumere per voi da chatGPT.

Sentiamo come imposta le campagne per testare le creatività.

Partiamo dal concettuale:

  1. in una fase iniziale: algoritmo > uomo
  2. in una fase avanzata: algoritmo a servizio dell’uomo

La procedura che prediligo per la fase di test delle creatività è: applicare un obiettivo algoritmico che non spinga alla conversione.

Uuuuuuu

In che senso?

La campagna copertura in che modo influenza la delivery dell’annuncio?

Su base di un CPM minore possibile, giusto?

Giusto.

Bene?

Molto.

Perché?

Perché non influenzando il target maggiormente propenso all’azione finale, il risultato sarà:

se un’ads funziona bene in copertura, funziona bene anche in conversione.

Su quale metriche mi baso?

Mi basta il CTR.

Se c’è un’ads che in copertura ha un buon CTR (>0,7%) allora in campagna conversione sarà una delle top ads.

Fine?

No.

Questa l’ho fatta molto complessa, facciamola più semplice per tutti.

Sono in una condizione in cui: devo scalare e veloce anche.

Metto tutte le creatività in un’unica campagna conversione, stabile (indicata come dati presenti negli ultimi 7 giorni, per adset).

In questo adset attivo – per volta – 4/5 ads per volta.

Fine?

No.

Quelle che performano bene, bene.

Quelle che sottoperformano, vanno a casa.

Fine?

No, calma.

iOS14.5 ha introdotto una marea di late attribution.

Quindi?

Quindi le ads che ho spento a giorno 1, vado a ricontrollare che siano effettivamente sottoperformanti, fino a giorno 7.

E come gestisco quelle spente?

Ne attivo una o due, quando vado sotto le 3 ads attive.

Così, avete sia la versione strong, che la versione easy. 🙂

Ah…

e poi occhio alle losers.
cit alberto

e poi in una fase iniziale del progetto, inserite regole di turning delle campagne.
cit federico

saluti.

Prima di tutto dobbiamo aver fatto una buona analisi delle audience per capire le cose che sono da testare.

Poi, il metodo più semplice è fare una campagna conversioni e all’interno della campagna metterci più gruppi di inserzione e lì ci sono due opzioni.

Opzione 1: fare tutti i gruppi di inserzioni uguali identici l’uno con l’altro cambiando solo le creative per vedere se ci sono delle creatività che performano meglio su tutti i gruppi e per farlo faccio una campagna con tre adset identici e all’interno degli adset metto diverse creatività ma sempre le stesse creatività per ogni adset.

Opzione 2: si testa per angle, quindi faccio adset 1 con angle 1 e creatività angle 1, adset 2 con angle 2 e creatività angle 2 e a quel punto riesco a gestire meglio la parte di testing creativo in base al singolo angolo. 

Oppure posso fare anche una cosa mista e prendo tutte le creatività per un angolo specifico e faccio più adset identici per quell’angolo.
btw Fra ha fatto un video super esaustivo sull’argomento qui:
https://www.youtube.com/watch?v=3issHWqqWvI&t=1557s

Parto col dire che a volte credo ci si faccia un po’ troppe “pippe” mentali sulla parte tecnica delle Facebook Ads.

Sì, noi advertisers ci infiliamo spesso in discorsi che si avvicinano a quelli di 2 fisici nucleari seduti al tavolino di un bar del CERN…

…A volte però la strada è molto più semplice e lineare.

Ciò non toglie che è sempre molto affascinante discuterne, soprattutto insieme a professionisti che stimo molto come le persone coinvolte in questo articolo.

Ok arrivo al dunque.

Io credo che per la fase di testing, come per quella di scaling ci siano tante possibilità.

Negli anni ho conosciuto tantissimi advertisers di successo che usavano i metodi più disparati.

Chi testa con obiettivo traffico.
Chi testa con una ad in ogni adset.
Chi testa con obiettivo copertura.

Dunque mi dispiace deluderti ma…

La risposta n. 1 è sempre quella più brutta.

Quella che “no amico mio, non sono arrivato fino a qui per sentirmelo dire, no!”.

Hai già capito giusto?

Sì, la risposta n.1 purtroppo è: dipende.
(Stai con me però perché arriviamo ad un dunque più interessante)

Dipende dal budget.
Dipende dalla pazienza del cliente/business (sicuramente giusto testare una crea per volta spegnendo ogni tot impression ma in alcuni casi è impossibile)
Dipende dal tuo metodo.

Ecco, alla base di tutto ci deve essere un ragionamento logico e soprattutto uno schema mentale pre definito.

Faccio A e se succede B, faccio C.
Se succede D faccio E.

L’errore più grande che vedo fare in fase di testing è partire senza uno schema e un metodo.

Cosa succede poi puntualmente?

Che nel momento in cui bisogna fare il passo successivo ci si incarta o si va a caso.

Devi sempre avere un metodo e ragionare come in una partita a scacchi.

Appurato questo, ciò che solitamente noi facciamo è:

Opzione a. Adset identici a livello di pubblico, copy, posizionamenti ecc. che variano solo nella creatività.

Es 3 adset uguali duplicati, con 2 ad ognuno e dentro creatività diverse.

Il tutto ottimizzato per l’obiettivo che precede quello finale (es. Il mio obiettivo è purchase, ottimizzo in fase di testing per inizio check out).

Perché questo?

  1. testo più velocemente (mi costa meno raggiungere un IC rispetto a un PUR)
  2. Raccolgo più segnali e social proof

Opzione B. Stessa identica cosa ma con l’obiettivo finale (es. PUR o Lead)

Quando uso uno o l’altro?

Per la lead generation nel 99% dei casi usiamo l’opzione B.

Per le campagne con ob acquisto 50 e 50.

Poi che si fa?

Si spengono gli adset peggiori e si continua a testare.

Testare creatività, pubblici, posizionamenti…

“E come scali amico mio se testi solo?”

Dovrei aprire un’altra grossa parentesi ma ti lascio con una domanda.

E se scalassi rimanendo sempre in fase di testing?



Tu come testi le creatività?

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Perché in Italia servirebbe più RUGBY e meno CALCIO

(di seguito… Probabilmente il più grande insegnamento che mi ha lasciato il rugby)

Il rugby mi ha dato tanto, come immagino abbia fatto con la maggior parte di chi lo abbia praticato.

Io ho sempre cercato di contraccambiare, ed ho cercato di dare indietro tanto: tutti i pomeriggi dai 15 ai 21 anni, tutte le domeniche mattine di campionato ed i relativi sabati sera (beh, ad essere completamente onesto non tutti tutti i sabati sera di campionato), tre legamenti di un ginocchio, una clavicola, incalcolabili punti di sutura, il naso… 

La lista sarebbe veramente lunga, credimi quando dico tanto.

Talmente tanto che quando a 21 anni ho smesso di giocare mi sono chiesto se tutti gli allenamenti, tutte le trasferte, tutti gli infortuni valessero ancora qualcosa o fossero stati solamente tempo perso.

Come sempre, come ha detto qualcuno più famoso di me: “non è  possibile unire i puntini guardando avanti, puoi solo unirli guardando indietro’’. 

Oggi ho questa visuale e posso dire con certezza di dover tantissimo di quello che sono al rugby.

Di seguito, probabilmente, la lezione più preziosa ricevuta.

Avevo 15 anni…

Ancora il Romagna RFC non esisteva, giocavo nelle giovanili del Cesena Rugby.

Ogni allenamento facevo un’ora di pulmino all’andata ed una al ritorno.

La società stava facendo questo folle investimento per permettere a me e ad alcuni miei amici di poter diventare giocatori di rugby, l’anno prima avevamo portato la squadra della nostra scuola media, quella di un comune sperduto sui monti di un paese dove il rugby era sconosciuto fino ad allora, alle finali nazionali studentesche.

Quando cresci in un comune di 5000 abitanti conosci tutti, i tuoi compagni di scuola sono i tuoi amici di sempre.

Non serve tutto il percorso in cui si forma una squadra, in una rissa, prenderesti un pugno in faccia al posto di qualsiasi compagno già dalla prima partita.

Non sapevamo molto del gioco, avevamo imparato giusto le poche regole che ci servivano per poter vincere.

L’ignoranza pensava al resto.

Entrare a far parte di un club con una tradizione, iniziare a far parte di una squadra con atleti che già si allenavano da anni, dovrebbe essere il massimo per un adolescente che sogna di diventare un campione.

Invece no.

Le dinamiche della squadra di club erano diverse per noi, non avevamo gli amici di sempre a fianco.

Non facevamo ancora parte di quel gruppo, in allenamento questo si traduceva in poco affiatamento…

In partita, la domenica, soprattutto quando le cose si mettevano male, accadeva il peggio e mostravamo tutte le fragilità di una non-squadra.

Ti avviso che non finirà con la solita morale: L’importante è partecipare.

A me perdere ha sempre fatto schifo, ho sempre tratto i maggiori insegnamenti nelle sconfitte, come in questo caso, ma mi ha comunque sempre fatto schifo.

Io ed il “gruppo di montanari” non eravamo abituati a perdere.

Non eravamo certo invincibili, ma abituati a giocare con ‘fratelli’ sputavamo veramente il sangue prima di arrenderci.

Quella domenica era una di quelle volte in cui anche se non sei abituato ti istruiscono alla svelta e se sei disposto a sputare sangue: Ti stanchi prima tu di chi te lo farà sputare.

Erano il doppio e menavano il triplo. Chi ha giocato sa.

Come potrai immaginare, stiamo perdendo, ma non era la cosa che più mi faceva incazzare.

C’era della gente (in squadra con me) che aveva paura, che evitava contatti.

Per usare un linguaggio tecnico ‘’tirava il culo indietro”.

Il risultato ovviamente era una umiliazione sul tabellone e razione doppia (di svettole) per gli altri compagni.

Io che ho già spiegato la mia relazione col ‘partecipare’, di britannico avevo rimasto solo il gioco a cui stavo partecipando, di sicuro non l’ aplomb. 

Insultavo tutti quelli che catalogavo come codardi peggiorando la loro situazione.

Sotto nel punteggio e sotto fisicamente.

Finisce il primo tempo.

Bene, durante l’intervallo la tanto preambolata lezione.

Con una calma disarmante, Toto, l’allenatore si rivolge al gruppo così: ‘’Signori, se calate le braghe quando vi stanno menando è la volta in cui ne prendete ancora di più.

Questo è il momento in cui bisogna compattarsi e reagire come squadra dopo (finita la partita) ci sarà tempo per fare i conti con chi non è stato all’altezza o ha sbagliato. Non adesso.’’

(nella foto: Massimo ’Toto’ Magnani)

Solamente con questo, ad oggi, ci faccio la patta con tutti i Km, tutti gli interventi chirurgici e tutte le botte che questo sport mi ha procurato, comprese quelle di questa domenica.

Nella vita e nel lavoro mi è servito un sacco filtrare le cose con questa lente, evitare polemiche durante momenti di crisi ed aiutare al massimo delle possibilità.

Alla luce degli eventi di attualità ai quali assisto penso che l’Italia ed il mondo sarebbero un posto migliore se la gente avesse giocato di più a rugby.

Prima si attraversa la tempesta, poi si cercano i colpevoli e si fanno i conti.

Condividi se sei d’accordo.

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Satira o sostituzione di persona? 
Se reato, non c’è giustizia.

Sostituzione di persona (?) Satira (?) ed un’inadeguata macchina di controllo che non riesce a stare al passo con la crescita ed il ruolo dei social nella società odierna.

Tiene banco in quel di Cesena la denuncia contro ignoti da parte di Enzo Lattuca (ultimo eletto Sindaco della città) nei confronti di chi, durante la campagna elettorale, ha creato una pagina denominata ‘’REnzo Lattuca’’.

‘’REnzo’’, non ‘’Re Enzo’’ come riportato da alcuni articoli.

Cambia, perchè se nei post della pagina stessa il tono era goliardico e satirico, nei commenti di altri post alcuni utenti Facebook venivano traviati da un’assonanza onomatopeica nel nome e dalla stessa foto che l’allora candidato stava utilizzando per la propria campagna elettorale.

Foto modificata, eh: su tutto, dei grossi dentoni. Le modifiche tuttavia non erano apprezzabili nella dimensione della foto nelle risposte ai commenti sui post di Facebook; figurarsi se fruiti da smartphone.

Considerando che buona parte degli utenti utilizza i social in maniera distratta, in alcuni casi non ha padronanza delle piattaforme e magari non conosce esattamente il nome di battesimo del candidato, si poteva creare confusione.
Anzi, ora che ci penso, lessi almeno un paio di botta e risposta nei commenti fra ‘REnzo’ ed utenti distratti.

Una goliardata?
Può essere…
Magari anche i commenti ‘in giro’ per la piattaforma nascevano con lo stesso intento e tono goliardico o satirico della pagina, il risultato però cambia?
Sicuramente la pagina è stata creata per cercare di creare un danno di immagine al candidato ma più che volontà di sostituirsi allo stesso – data la scarsa malizia e l’ancor meno tecnica applicata per non farsi scovare – vedo una sottovalutazione di quello che è consentito e quello che non lo è sui social.
(Non la trovo una scusante)
Tornerò su questo punto fra poco.

Non voglio questionare su quale sia il limite, dove finisca la satira e dove inizi (nel caso) un reato, soprattutto dato che la pagina è nata e ha operato in piena campagna elettorale, e non saprei dire se e come influisca nella valutazione di tutto ciò questo.

Per me non è il punto. Credo che il comportamento in questione non sia archiviabile come cavalleresco ma tutto sommato abbia creato più fatica nervosa al candidato ed al suo team (del tipo: “Non riesco a farlo bannare”) che altro.

La mia riflessione non verte sul fatto che l’accusato sia colpevole o innocente, ma su cosa sarebbe potuto succedere se ci fosse stato un danno, un reato e la relativa sentenza arrivasse due anni dopo a giochi fatti.

‘’Va be dai, quelle elezioni non valevano, 0 a 0, le rifacciamo’’

Veramente, non ho niente contro l’autore di questo atto, anzi, mi è sembrato a tratti geniale, il tutto ancor più avvalorato dal fatto che sembrerebbe abbia architettato ed eseguito tutto da solo.

Non me ne frega niente, soprattutto perchè Enzo ha vinto ed è Sindaco.
Questo tentativo di satira o di ‘scherzare in maniera pesante’  – decidi tu – non è andato a buon fine, ma se il risultato fosse stato diverso?
Di cosa staremmo parlando?

Cioè, se dopo le varie segnalazioni, Facebook avesse tardato ancora più di quanto abbia impiegato ad eliminare la pagina, e la propaganda della stessa avesse contribuito alla sconfitta del candidato che sfavoriva, che storia ci staremmo raccontando ormai due anni dopo?

Un po’ più in grande, la stessa problematica potrebbe condannare Facebook dopo aver cannibalizzato Snapchat (RIP) clonando la funzionalità ‘stories’ che ha spopolato su Instagram o per aver appena rilasciato la nuova sezione di Instagram: Reels.
Reels fa quello che fa TikTok, né più né meno.
Il plus è che lo fa su Instagram uno dei social con più utenti e più tempo trascorso per utente ogni giorno.

Il formato vincente dell’app cinese con la fanbase di Facebook nel momento in cui l’America sta facendo questioni relativamente al trattamento di dati e privacy da parte di TikTok potrebbe segnare il declino della stessa.

Se fra – sto stretto – un anno l’antitrust condannasse FB, e lo multasse per qualsiasi cifra, chi ridarebbe l’opportunità di cannibalizzare il mercato dell’intrattenimento a TikTok?

Amazon ha creato un fondo con cui investe o acquisisce informazioni da startup che poi clona.
Crea dei competitor delle stesse e lancia sul mercato prodotti e/o servizi simili, se i founder riuscissero a spuntarla e a dimostrare un danno o un reato, oltre una ridicola multa, chi ridarebbe l’opportunità a queste persone di conquistare una fetta di mercato?

Non credo ci sia una cifra adeguata, anche perchè opportunità a cascata ed effetto composto non sono quantificabili.
Quali sono i danni dimostrabili ed esigibili?
Sono rimborsabili il tempo e le opportunità perse?
Se sì, come?

Queste domande valgono anche tornando a questioni locali.

Oggi, a giochi fatti, è facile banalizzare. Facile prendere le distanze dall’autore della pagina oggi, quando tutti conosciamo il risultato, prima? Giù di like.

Trovo in tutto questo una lentezza esecutiva e legislativa degli organi preposti al controllo ed alla gestione oltre che una inconsapevolezza o una leggerezza nell’utilizzo da parte degli utenti.

Credo che sia giunto il momento di accettare che i social network siano diventati parte integrante della nostra vita, e quello che succede sui social è vita.
Spesso sembra che ce lo dimentichiamo o che quello detto sui social valga meno.
Capisco anche che possa sembrare una dichiarazione poco romantica… Può piacere o meno ma le coppie si separano per colpa di ‘’like’’, gli adolescenti si suicidano per quello che leggono nei commenti e le elezioni si decidono – anche e soprattutto – sui social.

Andrà fatta tanta informazione per arrivare ad una consapevolezza adeguata degli utenti, dato che su queste piattaforme è tutto amplificato e spesso vengono usati toni che nessuno si sognerebbe di utilizzare vis-à-vis.
Data l’inadeguatezza citata sopra, servirà ancor più educazione e buon senso del solito per far si che quello che per adesso è una giungla non si trasformi nel Far West.

Can’t wait…

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LEARNN

Luca Mastella lancia ‘’Learnn’’ e lo fa con un lancio -a detta sua- tecnicamente sbagliato.

Il ‘Re dei funnel’ è nudo.

Breve recap per chi non sa di cosa stia parlando:

Luca Mastella esce dall’azienda in cui era socio, decide di continuare a fare ciò che già faceva: Quindi diventa competitor della stessa…

E lancia un programma che insegna -fra le altre- a fare lanci: Documentando il lancio.

Fino a qui niente di speciale, anzi…

(Nonostante non sia riuscito a seguire con costanza il lancio)

Luca stesso, in una delle prime live, ha dichiarato di aver deliberatamente omesso tecniche -insegnate nelle sue lezioni- atte a convertire di più.

Nome inventato, sito da 100€, lead generation blanda, nessuna sales page ed un video che ha poca struttura di copywriting e si ispira tanto ai cortometraggi di Nike.
Siamo alla sagra dell’incoerenza o è solo una mia impressione?
Se non è così ditelo, vado a farmi dare ripetizioni di bondage da suor Cristina…

Dì la verità, speravi fosse fosse uno di quei post dissing…
Invece la verità è che portare traffico fuori dai social, interrompere la tua attenzione, di questi tempi, è una faticaccia, ho dovuto triggerarti male.
Farti credere chissà quale scandalo…

Sono stato costretto, se non lo avessi fatto, non staresti per leggere quali insegnamenti possiamo trarre da tutta questa faccenda e perché credo che Luca si sia giocato benissimo le sue carte.

Sarò sintetico, ecco tutto:

Dimenticati funnel, growth hack, bump offer, OTO se non hai un brand, o come in questo caso un personal brand.
È molto più importante ‘chi’ dice le cose piuttosto di cosa venga detto.

Se non sei leader di settore e/o come in questo caso devi posizionarti una opzione evergreen è certamente quella di andare in opposizione al leader.
‘’Questa è vecchia Gianno’’
Vero, ‘’il problema’’ è che Luca è stato per anni ‘ingranaggio’ del suddetto leader.
Uscirne senza qualche punto percentuale di incoerenza è pressoché impossibile ma era necessario.
Non ho ancora deciso se questa cosa ricade nello ‘’sputare nel piatto in cui si è mangiato’’.
Sicuro è che sistemi di credenza, convinzioni e necessità cambiano o possono farlo.
(E meno male.)

Posizionarsi con un ‘’why’’, con uno scopo netto, semplice e sintetico è un vantaggio competitivo.
Magari il video sulla falsariga di Nike è stato d’aiuto:
‘’Qual è il tuo scopo’’
Certo che è anche fare del grano.
Probabilmente è anche scaricare a terra tutta la rabbia agonistica accumulata da una rottura con gli ex soci.
Magari anche dimostrare a se stessi che ce la si può fare.
Ma nessuno dei sopra riuscirebbe ad essere ceduto come testimone a quelli che saranno gli evangelisti di questo messaggio, agli utenti.
E quindi, per quanto sia complesso ‘trovare’ un posizionamento nell’ambito formazione ecco servito un formato (anche riferito al pricing), con un ‘perché’ ed uno storytelling che reggono e cambiano il gioco.

In un mercato e in uno scenario in continuo cambiamento una delle poche costanti è che quando una cosa funziona: È tardi, non funziona più.
Concetto esasperato, me ne rendo conto, ma quando la maggior parte degli attori si accorge del funzionamento di qualcosa, tendenzialmente ne abusa, generando pattern cognitivi negli utenti e portando al decadimento dell’efficacia della stessa.

(Ti ricordi la storia dei bias cognitivi e della CONTENT BLINDNESS, nel caso è qui )

9,99€ cambia il gioco, cambiano le regole ed ha molto senso…
In un mercato votato ed inflazionato dall’high ticket, andare controcorrente è già di per sé una strategia.
Se poi ci mettiamo che anni di community e networking abbiano portato alla creazione di gruppi di amici:
Fare info-prodotti costosi senza altro, significa generare gruppi di acquisto.
Si fanno i soldi anche così eh.
Non sto dicendo il contrario.
Tuttavia: Subscription is goooooood.

Legge della preminenza.
‘’Non vendere né più né meno di quello che serve al cliente’’
in generale, agisci nel suo miglior interesse.
Un po’ di Jay Abraham ci sta sempre bene, e quando Luca dice:
-Non ho utilizzato le tecniche che ti insegno per ‘convertirti’
-Non ti metto nella condizione di dover acquistare un anno così se non riesci a seguire puoi disdire.
Non sta solamente agendo nell’interesse del cliente, gli sta livellando a zero qualsiasi barriera.
Io adoro questa disciplina perché non c’è un tracciato per andare da A a B.
Vale tutto il contrario di tutto se opportunamente contestualizzato.

Kevin Kelly.
Come fai a non conoscere Kevin?
Ok dai, ti sintetizzo quello per cui me lo ricordo io.
Trova 1000 stronzi che ti diano 100$ all’anno ed è fatta.
Potrebbe essere che non mi la ricordi molto bene la cit.
Il senso però sì:
Non serve sfondare Urano per partire.
1000 true fans che versano una cifra irrisoria mensile sono più che sufficienti per avviare e mantenere un bel business.
Se non ne trovi 1000 e non vendi computer quantici potrebbe valer la pena di interrogarsi sulla richiesta che il tuo prodotto o servizio abbia.

Finito di asciugare.
Detto tutto ciò, Maste 1000 true fans se li sarà fatti per colazione, non mi stupirei se ne raggiungesse almeno 5000 entro fine anno o entro fine lancio grazie al clamoroso inbound che questo articolo andrà a generare.

So bene che che per essere un marketers rispettato a questo punto dell’articolo dovrei avere una CTA, magari qualcosa da vendervi ecc.
Invece il mio sito è una merda e prima o poi lo finirò, se vi iscrivete alla newsletter in realtà salverò i vostri contatti in un Google Sheet ed ho fame.

Potrei lasciarvi con un consiglio o con un parere.
Eddaje che si cade sempre in piedi!

Non mi sono abbonato a Learnn perché avendo acquistato Funnel Secrets ho 3 anni a sbaffo.
(E non l’ho neanche aperto)
In effetti una delle problematiche potrebbe essere proprio questa.
A prescindere dal valore:
Poca spesa, poco commitment, poca applicazione, pochi risultati.
Non segue un filo logico, ma molti nostri comportamenti non ne hanno.

Funnel Secrets è un ottimo corso, azzarderei il migliore in italiano sulla materia.
Luca è tosto, visto che non ho visionato il progetto -nella totalità- ma che sicuramente dipenderà dal professionista.
Consiglio il professionista ergo consiglio il progetto.

Ho detto eresie o ho tralasciato qualcosa?
Puoi dirmi la tua qui sotto.

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CECITÀ DA BANNER

La prima ora di internet è stata un momento di esplorazione in un mondo completamente sconosciuto. Anche oggetti come i banner pubblicitari erano irresistibili per i clic.

Oggi, oltre 20 anni dopo, i banner pubblicitari sono quasi universalmente considerati la parte più fastidiosa dell’esperienza su Internet.
A partire dall’anno scorso, quasi 200 milioni di utenti avevano installato ad-block per gli annunci sul proprio browser, costando ai publisher circa 41,4 miliardi di dollari di entrate perse solo nel 2016, secondo Business2Community.

Celebre è anche il rifiuto di Mark Zuckemberg – ai tempi in cui Facebook non aveva ancora individuato un modello di business -, quando vietò l’inserzione di banner pubblicitari all’interno di ‘’The Facebook’’ al socio e CFO Eduardo Saverin, per non rovinare l’esperienza utente.

Ma andiamo con ordine…

Il 27 ottobre 1994 comparve su Wired.com il primo banner pubblicitario online appartenente al gruppo di telecomunicazioni americano, AT&T.

Accanto alla domanda scritta a caratteri colorati “Have you ever clicked your mouse right HERE?” l’inserzione conteneva una freccia orientata alla profetica risposta “YOU WILL” scritta con lettere bianche.
Nessun logo, ma lo slogan “YOU WILL” rappresentava all’epoca la campagna televisiva dell’azienda.

La percentuale di clic raggiunta (CTR) dal primo banner? Non la sapremo mai, ma in rete ho trovato diverse percentuali, dal 44 al 78%. Era comunque molto alta.
Nel ‘peggiore’ dei casi, su 100 utenti che visualizzarono il banner, 44 lo cliccarono: un valore che oggi possiamo solo sognare.

Dalle statistiche rilevate dal tool di Google che studia l’impatto degli smartphone nel processo di acquisto dei consumatori, si deduce che su 1000 utenti solo una media di uno o due clicca sugli annunci online nei loro diversi formati.
Aggiungo io che nel caso fossero due, il 50% ha commesso un miss-click: uno su due si è sbagliato.

Il principale fattore a condizionare questa evoluzione è la cosiddetta banner blindness (cecità da banner). 

Che cos’è la banner blindness o cecità da banner?

La banner blindness è un processo cognitivo per il quale visitatori di un sito web finiscono per ignorare in maniera conscia o meno banner pubblicitari e/o altre forme di inserzioni simili.

Se ogni volta che accediamo ad un sito internet dovessimo leggere ogni cosa, non avremmo tempo per fare nient’altro.
Viene quindi in nostro aiuto l’attenzione selettiva, che permette di focalizzarsi sulle cose che ci interessano ricercandole in automatico utilizzando schemi cognitivi costruiti con l’esperienza solo sulle parti della pagina in cui presumiamo di trovare le informazioni pertinenti.

Ogni volta che l’utente arriva su un nuovo sito web per trovare le informazioni necessarie, utilizza questi framework per cercare parti della pagina web che sembrano promettenti. Sono principalmente luoghi in cui hai trovato informazioni preziose in precedenza.

La cecità al banner è il nostro meccanismo di difesa contro il sovraccarico di informazioni tipico della società contemporanea, in particolar modo del mondo del web.
Possiamo definire il fenomeno come un meccanismo cognitivo di difesa del nostro cervello da un eccessivo carico di informazioni.
Sul web non leggiamo realmente i testi ma scannerizziamo le informazioni più rilevanti come titoli ed elenchi.
Effettuiamo una lettura trasversale e ci soffermiamo solo su cosa ci interessa.
Nel web cerchiamo informazioni, lo facciamo di fretta e gli annunci pubblicitari rientrano nelle informazioni non richieste: Quindi le escludiamo, più o meno inconsciamente.
Questa tematica assume un’importanza sempre maggiore anche nel mondo della pubblicità in tv, sui giornali e sui social ed ha reso la questione della percezione inconscia degli annunci pubblicitari un tema di ricerca sempre più centrale.
Come si comporta un utente all’interno di una pagina lo si può capire bene dalla foto qui sotto, risultato di un test effettuato da Nielsen Group.


La correlazione fra attenzione selettiva e cecità da banner è evidente.

Soprattutto quando abbiamo un obiettivo ben preciso non vogliamo cliccare su inserzioni; l’esperienza ci ha portato a classificare automaticamente alcuni elementi come pubblicità e quindi ad ignorarli in quanto contenuti non richiesti e non interessanti ai fini della ricerca svolta, il nostro cervello escluderà -in automatico- sempre meglio, il ‘rumore’ attorno alle informazioni che stiamo ricercando escludendo appunto la pubblicità e tutto ciò che vi assomiglia.

Perché anche ‘’tutto ciò che vi assomiglia’’? Lo spiega empiricamente un esperimento del 1998.


Nel 1998 venne condotto un esperimento di web usability su un campione di persone a cui veniva richiesto di cercare precise informazioni online.
Queste informazioni potevano talvolta essere trovate all’interno di un sito, semplicemente cliccando sui banner.
I banner ignorati, assomigliavano in molti casi a quelli pubblicitari, oppure se ne differenziavano fortemente. L’aspetto del banner quindi non aveva alcuna importanza per i partecipanti che ignoravano i banner preferendo a questi i link inseriti nel testo.

“I banners sono tendenzialmente ignorati dagli utenti anche quando contengono le informazioni ricercate.”

Quest’esperimento portò anche alla scoperta di come i banner posizionati più in alto passano spesso tanto inosservati quanto quelli in basso. Nel periodo successivo a questo studio sulla banner blindness, il fenomeno è aumentato, fatto confermato anche da un generale forte calo del CTR in ambito di display advertisement.

A supporto di ciò un ulteriore e più un recente studio di Nielsen ottenuto attraverso mappe di calore derivanti da tracciamento visivo.

In nessun caso c’è una interazione visiva con i banner né con la barra in alto del sito.

Questo fenomeno è andato al di fuori dei confini dell’ambito pubblicitario, gli sviluppatori di siti web sono obbligati ad occuparsene. Visto che gli utenti recepiscono, o ignorano, gli elementi all’interno di una pagina web in maniera inconsapevole, è possibile che finiscano per ignorare anche contenuti che in realtà non sono pubblicitari. In particolare immagini grandi e simili a banner o le aree tipicamente dedicate alla pubblicità (ad esempio la colonna a destra o l’header del sito come visto nelle heatmaps sopra).

La conclusione è: gli utenti Web non guardano alcun elemento del sito web che assomigli a un annuncio.

Questa cosa non è marginale, mediamente oltre il 50% di budget pubblicitario destinato a banner è sprecato per questa ragione, alcuni studi arrivano a registrare fino al 93%:
Gli utenti ‘non vedono’ le pubblicità.

Fatte queste premesse e visionati i risultati degli studi effettuati, se il cervello esclude automaticamente tutto quello che è o assomiglia a banner o più generalmente pubblicità, il metodo più efficace sarà quello di rendere i nostri annunci meno simili agli annunci banner o più in generale rendere la nostra pubblicità meno simile possibile alla pubblicità.

”Make your ads look less like ads.”

Vorresti qualche “trucchetto” -per non chiamarlo clliché- in maniera che le tue pubblicità assomiglino sempre meno ad annunci?
Tanto lo so che lo vuoi…

Ecco alcuni consigli utili: ottimizzare gli annunci per mobile, cambiare forma/posizionamento/colore e personalizzare il più possibile l’annuncio anche e soprattutto puntando sul retargeting.
Queste best practices però potranno divenire obsolete, l’unico modo per rendere questo articolo e questo consiglio immortale è la solita cantilena: testare, uscire dal coro provando cose diverse in maniera tale da rompere gli schemi cognitivi dei nostri utenti per mostrargli i nostri annunci.

(lo so, avrei potuto prendere un’immagine scontornata ma alla fine non mi dispiaceva e non ne avevo voglia)

Un’ottima soluzione, ad oggi, sono stati gli annunci nativi.
Gli annunci nativi sono annunci pubblicati all’interno del contenuto. Ad esempio, banner fra paragrafi di testo all’interno di un blog, annunci video riprodotti all’interno di un video o fra un video ed il successivo, annunci nei feed social, annunci nelle app mobili. L’obiettivo è progettare gli annunci pubblicitari come parte di esperienze generali al fine di non allontanare l’utente dal suo compito. Ovviamente glii annunci nativi sono molto più efficaci nel catturare l’attenzione e il coinvolgimento rispetto agli annunci tradizionali. In un esperimento condotto da infolink, gli annunci nativi integrati sono stati visti il ​​47% più velocemente degli annunci banner e queste aree venivano fissate il 451% in più rispetto agli annunci banner. Inoltre, il tempo trascorso da ogni utente è stato del 4000% in più, il che porta a un migliore richiamo.

 Gli annunci nella timeline di Facebook od instagram sono annunci nativi.

Il selezionare automaticamente informazione utili da quelle non, essendo un sistema di difesa del nostro cervello, avviene anche sui social sopra citati, su questi, anzichè cecità da banner avremo ”cecità da contenuto” ma il concetto sarà il medesimo.

Nel primo caso a cecità da banner avviene perché generalmente alle persone non piace essere interrotte o non piace ricevere offerte di vendita quando non richieste. La cecità di contenuto invece si verifica perché la quantità di contenuti è troppa ed in costante aumento.

Ti sarà capitato di scrollare timeline o stories senza essere effettivamente ”attento” a cosa stavi guardando o senza poter ricordare cosa hai appena ”scorso”.
Ecco la cecità da contenuto.
Questo fenomeno rende inutili altissime percentuali di investimenti in pubblicità.

COME SI OVVIA ALLA CECITÀ DA CONTENUTO?

Per iniziare, da una esperienza personale, foto troppo perfette o artefatte ad esempio non otterranno il ritorno desiderato a discapito di video tremolanti, immagini pixellate in generale contro contenuti a presa diretta: veri o veritieri.
Nel secondo caso un contenuto non professionale potrebbe non alzare le barriere difensive che alzerebbe un tradizionale video di vendita perfetto in luci, audio ecc. Ovviamente questo funzionerà fino a quanto tutti non inizieranno a fare video tremolanti.

Un’altra strategia, più efficace e duratura è la seguente:

Stimolare i TRIGGER POINT dell’utente in maniera rendere in tuoi contenuti di nuovo visibili.

SBAAAAAM!

eccoti un fantastico link con la soluzione, all’interno di un testo pieno di valore che per reprocità, forma e bisogno creato dovrebbe aver camuffato la marchetta ”dovresti venire al corso”.

Niente male come contenuto nativo pubblicitario eh?

Se non verrai al corso potresti essere fortunato, potrebbe essere l’argomento del prossimo articolo.
Ho detto potrebbe, nel caso lo troverai QUI.
(se ”qui” non diventerà mai cliccabile, avevo altro da fare, mi dispiace per te, saresti dovuto venire all’evento)

A parte gli scherzi, Enrico è veramente un MEGA dell’adv italiano e non solo, è più una GAG che altro viste le 5 ore all’evento.

Vuoi che preveda cosa andrà a sciamare grazie al lavoro dell’attenzione selettiva?

La cecità da influencer marketing.

Milioni e milioni di testimonial avranno un effetto sempre più tenue sui fan, se in un primo momento, non avendo ancora costruito schemi cognitivi potevamo pensare le referenze o le recensioni a prodotti/servizi fossero vere e disinteressate.
Dopo un po’….

Ti faccio un esempio, dopo la 12esima storia di fila dove ci propongono un qualsiasi prodotto fantastico con cui ”si sono trovati benissimo” potremmo fiutare che

”C’è QUALQUADRA che non COSA”

Ad oggi comunque è ancora un’ottima soluzione, in calo, ma un’ottima soluzione.
(Questo però è un altro articolo e lo troverai QUI non appena lo avrò terminato.)

Ho anche una esperienza diretta nel settore, più nello specifico l’utilizzo di micro influencer come vettore di marketing, mi ha permesso di ottenere straordinari risultati con la mia startup durante il programma di accelerazione di Luiss Enlabs, ti racconterò proprio QUI l’esperienza e l’utilizzo che ne abbiamo fatto.

In caso i “QUI” non siano cliccabili -devo finire di scrivere gli articoli- puoi iscriverti alla newsletter o seguirmi su qualche canale social.

fatto.

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